Cytomegalovirus in gravidanza – per saperne di più

L’infezione da Cytomegalovirus (CMV) è molto comune: particolarmente frequente nei bambini più piccoli, di solito non dà alcun sintomo (salvo il caso di persone immunodepresse, ad esempio per AIDS). In una minoranza di casi si può presentare come una lieve forma influenzale che passa quasi inosservata. A differenza di altre malattie infettive, non lascia immunità, quindi l’infezione può essere ripresa anche dopo la prima volta.
In qualunque periodo della gravidanza, il virus – se contratto dalla madre – può contagiare anche il feto:

  • in 30-40 casi su 100 gravidanze, se si tratta della prima infezione
  • in 1-2 casi su 100 gravidanze, se si tratta di un’infezione successiva alla prima

E’ possibile un contagio fetale senza che la donna abbia l’infezione?

No, è impossibile, come per tutte le infezioni fetali il virus può passare al feto solo dalla madre.

Che cosa succede se l’infezione passa dalla madre al feto?

Nella maggioranza dei casi (circa l’85-90%), non si rilevano segni di malattia fetale, però è possibile che si sviluppino, anche mesi dopo la nascita, problemi di udito nel bambino, fino alla sordità (in circa un caso su 10).
Nel 10-15% dei casi, il feto può sviluppare una malattia che coinvolge il fegato e il sistema nervoso, con ritardo della crescita e possibili gravi danni neurologici e mentali.

A conti fatti, se la madre contrae per la prima volta l’infezione durante la gravidanza, problemi di salute si possono avere in 3-6 bambini su 100 (94-97 donne su 100 avranno un bambino senza danni dall’infezione).
Il rischio è basso perché:

  1. non è detto che l’infezione passi dalla madre al feto, e perché:
  2. anche se passa, nella grande maggioranza dei casi non succederà nulla.

Nelle donne che hanno durante la gravidanza un’infezione successiva alla prima, il rischio di danni è ancora minore, molto meno di un caso su 100.

Che cosa si può fare per prevenire il passaggio dell’infezione al feto o eventualmente curarla?

Purtroppo non vi sono trattamenti efficaci per ridurre il rischio di passaggio del virus dalla gestante al feto, e non esistono farmaci utilizzabili in gravidanza contro il Cytomegalovirus per impedire i possibili danni fetali.

Non esiste neppure un vaccino realmente efficace per prevenire l’infezione, e quindi l’unica forma di prevenzione possibile è cercare di evitare il contagio durante la gravidanza. Dato che la donna in gravidanza può prendere il virus soprattutto da bambini piccoli con l’infezione in corso, può essere utile il rispetto di semplici norme igieniche:

  • evitare quando possibile contatti stretti con bambini piccoli (sotto a 3 anni);
  • lavare frequentemente le mani con acqua e sapone, in particolare dopo il cambio di pannolini o dopo aver pulito il naso o la bocca dei bambini;
  • non baciare i bambini sotto i 5-6 anni vicino o sulla bocca;
  • evitare di condividere con i bambini più piccoli cibi, bevande, posate e bicchieri

Alcune ricerche suggeriscono che tali accorgimenti possano essere efficaci, ma non è stato tuttavia ancora dimostrato con certezza. Si tratta comunque di regole di buon senso, basate su quello che sappiamo delle modalità di trasmissione dell’infezione, che avviene attraverso la saliva, il sangue e le urine della persona infetta.

Come si può sapere se la donna in gravidanza ha contratto l’infezione da Cytomegalovirus?

Dato che non ci sono in genere sintomi nella gestante, si può sapere solo cercando con una analisi del sangue gli anticorpi che si producono nel corso dell’infezione (anticorpi anti-Cytomegalovirus). Ve ne sono di due tipi: anticorpi del tipo “IgG” quando l’infezione è avvenuta tempo addietro (mesi o anni), e del tipo “IgM” quando è recente (avvenuta da 2-3 mesi) o è in corso.

Se gli anticorpi risultano positivi a seguito di un’infezione avuta prima della gravidanza (eventualità assai comune), il rischio, in rapporto ad eventuali nuove infezioni, è molto più basso. In caso di positività anche degli anticorpi IgM durante la gravidanza, il test va ripetuto, con esami di secondo livello in un laboratorio specializzato, per chiarire, nei limiti del possibile, se si tratta di una prima infezione o di una reinfezione, che è molto meno rischiosa.

Se la donna in gravidanza ha l’infezione, come sapere se il CMV è stato trasmesso al bambino?

Non è possibile accertarlo solo con esami del sangue. Durante la gravidanza si può utilizzare l’amniocentesi (dalla 21esima settimana, e non prima di 6 settimane dall’accertamento dell’infezione nella gestante). L’amniocentesi rileva l’infezione quasi sempre quando c’è, ma non sempre, quindi anche un risultato normale non è sicuro al 100% a causa di “falsi negativi”. Per contro vi sono anche dei “falsi positivi”, in cui l’amniocentesi rileva un’infezione fetale che in realtà non è avvenuta. Sono limiti intrinseci delle tecniche utilizzate, che non sono perfette. Perciò anche l’amniocentesi non dà una sicurezza assoluta. In aggiunta, va considerato che il rischio di aborto causato dall’amniocentesi è attorno all’1%.

Tuttavia, non interessa tanto sapere se l’infezione è passata al feto o no: interesserebbe sapere se darà dei danni o no, ma questo non è attualmente prevedibile. Si può solo affermare che – statisticamente – nella grande maggioranza dei casi non ve ne saranno (come detto sopra).

L’ecografia può rilevare anomalie causate dall’infezione, che si manifestano solo nei rari casi gravi (ritardo di crescita, microcefalia, calcificazioni cerebrali o nel fegato, ed altri segni). Si tratta di anomalie che si vedono nel II trimestre inoltrato, quando il ricorso all’interruzione di gravidanza (se questa era un’opzione) è più problematico.

Ad una donna incinta è consigliabile o no l’analisi per il Cytomegalovirus?

Non si tratta di un esame di routine e infatti non rientra nel protocollo ministeriale degli esami gratuiti; al di là del costo del ticket, molto modesto, questo significa che gli esperti non lo considerano un esame da raccomandare.

L’esame individua soltanto se la gestante ha contratto l’infezione durante la gravidanza, ma non ci può dire se il virus è stato trasmesso al feto e inoltre, anche se il virus passa al feto, non c’è modo di sapere se l’infezione avrà delle conseguenze e di quale gravità potranno essere; infine non c’è nessuna terapia che possa impedire il passaggio del virus al feto o lo sviluppo di danni fetali. Perciò la ricerca degli anticorpi anti-Cytomegalovirus non è utile a scopo “preventivo”, non aiuta in nessun modo a proteggere il bambino, e l’unico risultato che può determinare è un comprensibile stato di ansia nella gestante, senza alcun vantaggio.

Le maggiori linee guida sulla gravidanza
e le raccomandazioni degli esperti concordano nel
NON consigliare la ricerca di anticorpi anti-CMV in gravidanza.

Qualcuno suggerisce che l’esame può favorire l’attenzione alle norme igieniche nelle donne a maggior rischio (quelle che non hanno mai contratto l’infezione – riconoscibili perché non hanno gli anticorpi IgG contro il CMV – e che lavorano a stretto contatto con bambini piccoli, ad esempio in asili nodo e scuole materne). Tuttavia si tratta di norme che si possono consigliare ugualmente a tutte.

La scoperta dell’infezione fetale non potrebbe suggerire l’interruzione di gravidanza?

Si tratta di una scelta personale, ma bisogna tenere conto che solo il 3-6% dei feti infetti può avere dei danni e che solo in una parte di questa percentuale saranno gravi, per cui bisognerebbe decidere di interrompere la gravidanza quando la probabilità che il bambino nasca del tutto sano è attorno al 94-97%, il che è difficile da accettare.
Inoltre l’infezione fetale può essere accertata solo con l’amniocentesi (che ha margini di imprecisione e rischio di aborto), ma l’amniocentesi per questo scopo va fatta dopo il V mese (21° settimana) di gravidanza, quando l’interruzione sarebbe problematica.
Il rilievo all’ecografia di danni fetali può ugualmente far propendere per una interruzione di gravidanza, ma anche in questo caso si tratterebbe di una gravidanza avanzata, e peraltro danni fetali importanti visibili all’ecografia si vedono eventualmente anche se la ricerca degli anticorpi anti-CMV non è stata fatta.

In conclusione: l’infezione da Citomegalovirus in gravidanza è un problema o no?

L’infezione fetale da CMV in gravidanza esiste, e purtroppo ci sono bambini che hanno riportato gravissimi danni permanenti, anche se fortunatamente si tratta di una eventualità rara. Tuttavia non abbiamo una buona soluzione: questo è il problema.

Perché allora molti ginecologi prescrivono il dosaggio degli anticorpi anti-CMV?

Non lo so. Bisognerebbe capire a cosa serve sapere se la donna ha un rischio del 4-6%, contro il quale non è possibile fare nulla, se non prenderne atto. Se da un lato è difficile comprendere questa propensione a richiedere un esame potenzialmente più dannoso che utile, e che gli esperti raccomandano di non fare, stupisce ancor più la mancanza di informazione alla donna, alla quale andrebbe almeno detto che fare il test non sarà utile – né a lei né ai medici – per compiere nessun tipo di scelta, mentre potrà lasciarla in uno stato di incertezza, se non angoscia, per tutta la gravidanza (e anche oltre, perché i difetti uditivi si possono manifestare molti mesi dopo la nascita).

NB. Per i difetti uditivi dei bambini nati da madri contagiate da Cytomegalovirus è raccomandato l’esame periodico dell’udito, ma si tratta di un esame che va fatto a TUTTI i bambini e comunemente eseguito dai pediatri, perché tali difetti possono avere anche altre cause.

Le linee-guida sulla gravidanza fisiologica del Sistema Nazionale Linee Guida e del Ceveas (2011) riportano a proposito del test per il Cytomegalovirus questa raccomandazione:

Lo screening dell’infezione da Citomegalovirus non deve essere offerto alle donne in gravidanza poiché non ci sono prove di efficacia a supporto dell’intervento.
La diagnosi di infezione fetale di per sé non è un indicatore di malattia. Non è stato ancora identificato un marker del periodo prenatale per prevedere se un feto con infezione congenita sarà sintomatico o meno, o se si svilupperanno sequele e di che tipo. I dati degli studi osservazionali sulla profilassi o terapia con gammaglobuline anti-CMV specifiche disponibili non sono stati confermati da studi clinici controllati randomizzati. I farmaci antivirali utilizzabili per l’infezione si sono dimostrati teratogeni negli animali e mancano studi sull’uso in gravidanza.

Questa raccomandazione attribuisce valore alla alta sieroprevalenza della infezione nella popolazione italiana, alla ridotta gravità delle sequele neonatali conseguenti a una infezione materna secondaria, alla assenza di trattamenti prenatali di provate efficacia e sicurezza per la prevenzione della trasmissione verticale o per la riduzione delle conseguenze di una infezione congenita.

In ogni caso, la ripetizione del test durante tutta la gravidanza, ad ogni controllo di routine, non ha alcun senso: se si decide di farlo, due analisi per la ricerca degli anticorpi (ad inizio e – solo se assenti – a fine gravidanza) dicono tutto quello che c’è da sapere.

Cosa si può fare allora per prevenire l’infezione nella donna incinta?

Alcune semplici misure igieniche sono raccomandabili per ridurre i rischi. La fonte principale di contagio sono i bambini piccoli (che possono contrarre il virus – normalmente innocuo per un bambino sano – senza avere nessun segno di malattia). La precauzione più importante per le donne in stato di gravidanza è di evitare il contatto con i fluidi corporei (saliva, urine, feci) di bambini piccoli, o di lavarsi accuratamente le mani dopo ogni contatto.

  • Lavarsi frequentemente ed accuratamente le mani con acqua e sapone, in particolare quando si cambiano i pannolini e quando i bambini vengono lavati o cambiati;
  • lavarsi le mani prima e dopo averli imboccati;
  • non baciarli vicino alla bocca o quando hanno saliva in viso;
  • lavarsi subito le mani dopo aver pulito il naso dei bambini con un fazzoletto;
  • lavarsi le mani dopo aver toccato giocattoli usati dai bambini, che possono averli messi in bocca;
  • non mettersi in bocca il ciuccio dei bambini e lavarsi le mani dopo averlo toccato;
  • non mangiare il cibo del bambino e non mettere in bocca il cucchiaino che ha usato o è stato usato per dargli da mangiare; non usare lo stesso bicchiere;
  • non usare asciugamani utilizzati per i bambini;
  • lavarsi le mani dopo aver toccato indumenti o pannolini indossati dai bambini, specie se bagnati di urina.

Queste norme sono più importanti per le donne incinte che hanno già un altro bimbo piccolo in casa e per coloro che lavorano a contatto con bambini in età prescolare (operatrici di asili nido o scuole dell’infanzia, infermieri, personale sanitario che può lavorare a contatto con bambini piccoli).

 

Referenze:

  • SaPeRiDoc: Citomegalovirus e gravidanza (aggiornato al 5/2/2008)
  • Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) / Ceveas. Gravidanza fisiologica. Aggiornamento 2011. p. 138

 

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